Responsabilità 231. In caso di reati societari prima il sequestro sull’ente e poi l’apprensione dei beni dell’apicale

di Flavio Corsinovi

 

Accolto il ricorso contro il sequestro dei beni di proprietà del condirettore di banca

La Cassazione Penale (sez. V°, sentenza n. 6391 depositata il 18 febbraio) ha accolto il ricorso del condirettore generale della Banca popolare di Bari contro il sequestro per equivalente su beni di sua proprietà per cinque milioni di euro avverso il sequestro per violazione del principio di sussidiarietà.

Nel motivare la propria decisione la Cassazione ha affermato che l’ente non può considerarsi terzo estraneo rispetto ai reati societari commessi da un proprio apicale e, pertanto, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente deve avere ad oggetto prima i beni della società e solo in via sussidiaria quelli della persona fisica.

Vale il principio di sussidiarietà

Nell’ambito di un procedimento 231 il Tribunale del Riesame di Bari aveva confermato il provvedimento ablatorio a carico di un direttore di banca accusato di aver trasmesso a Banca d’Italia alcune comunicazioni contenenti dati gonfiati, poi riportate in bilancio.

L’accusa, invece, non aveva formulato istanze cautelari nei confronti dell’Istituto di credito di riferimento, pur mantenendo ferme le contestazioni degli illeciti amministrativi.

La Corte di Cassazione, nell’annullare esclusivamente il sequestro per equivalente (e non anche quello finalizzato alla confisca diretta) ha ribadito il principio di sussidiarietà, secondo il quale, prima di procedere all’apprensione dei beni dell’apicale, è necessario verificare la possibilità di rinvenire in via diretta il denaro presso la persona giuridica nel cui interesse e vantaggio erano stati commessi i reati societari.

Ipotesi dell’accusa

La Cassazione ha affermato che il Tribunale del Riesame dovrà motivare “perché quei beni strumentali se non reperiti presso l’indagato non possano trovarsi presso altri”, e dunque “non avrebbe senso ricercarli altrove di talché una volta verificato che non si trovano presso l’indagato può per ciò solo farsi ricorso alla confisca per equivalente”.

L’accusa ipotizza che il ricorrente, in concorso con il responsabile direzione business e il responsabile Internal Audit, abbia ostacolato l’esercizio della vigilanza di Bankitalia, comunicando falsamente (nella quarta comunicazione trimestrale dell’anno 2015), un ammontare dei fondi propri della banca non

corrispondente al vero (per una cifra in negativo di circa 49milioni di euro). Avrebbe inoltre commesso il delitto di false comunicazioni sociali, per avere indicato, nel bilancio individuale e consolidato della Banca (al 31 dicembre 2016 e al 31 dicembre 2017), valori non rispondenti al vero in ordine al possesso di azioni e obbligazioni proprie e, dunque, al patrimonio netto (e di vigilanza), omettendo di dedurre dal capitale l’acquisto di titoli propri, operato mediante la concessione di molteplici finanziamenti direttamente e/o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie.

Per i medesimi titoli di reato sono contestati all’Ente illeciti amministrativi.

La confisca “diretta” e la confisca “per equivalente”

L’art. 2641 cod. civ., ricorda la Cassazione, individua, dunque, due diverse tipologie di confisca:

  • la confisca “diretta” (misura di sicurezza) del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo;
  • la confisca “per equivalente” (misura a contenuto eminentemente sanzionatorio) per un valore corrispondente a prodotto, profitto, beni strumentali.

La medesima norma, prosegue la Corte, sancisce il rapporto di sussidiarietà della confisca di valore rispetto alla confisca diretta che deve essere esperita in via prioritaria.

Il ricorso alla confisca di valore dunque è consentito solo nel caso di impossibilità di “individuare” o “apprendere” i beni costituenti prodotto, profitto o strumento del reato, che, dato il rapporto causale diretto con il reato, vanno sottoposti a vincolo ovunque si trovino, presso gli indagati/imputati o presso terzi (persone fisiche o giuridiche), a eccezione dei terzi estranei al reato. Il «prodotto» del reato è il risultato materiale della condotta criminosa in immediato e diretto legame causale con la stessa. Mentre il «profitto è il risultato economico vantaggioso tratto dalla realizzazione del reato.

La Corte ricorda infine la legittimità della struttura “mista” del sequestro dipende “dalla condizione di sussidiarietà tracciata nel decreto stesso, che, in astratto, non può dipendere dalla ricerca diretta dei beni strumentali limitata al patrimonio dell’indagato e alla relativa incapienza”.



Lascia un commento